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Poetica di Callimaco - Erudizione e poetica della "verità"

La parte non secondaria che l'erudizione ha nella poesia callimachea, lungi dal rappresentare un limite all'originalità e alla novità di essa (entrambe costantemente rivendicate dall'autore), costituisce invece il cardine di una teoria letteraria che alla mimesis/imitatio come essenza dell'opera poetica aspira a contrapporre nuovi procedimenti stilistici di tipo emulativo e allusivo. Quando Callimaco insiste nel precisare che egli non canta nulla di non attestato (οὐδὲν ἀμάρτυρον ἀείδω, fr. 612 Pf.), non contraddice al precetto datogli da Apollo nel proemio degli Aitia (fr. I, 25 ss. Pf.) "di calcare i luoghi che non battono i carri e di non spingere il cocchio sulle orme degli altri", ma intende solo precisare che il suo rifiuto dell'imitazione non implica il ricorso alla pura invenzione e che originalità non equivale ad infondata fantasticheria: in questo senso, il continuo e puntiglioso richiamarsi al dato erudito costituisce l'indispensabile supporto di una poetica che, come quella esiodea e pindarica, aspira - pur nell'assenza di finalità etico-religiose - alla "verità", come sarà in modo più esplicito ribadito da Teocrito nell'Idillio VII.

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