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La poesia ellenistica

Nelle premesse e nella sostanza la koiné rappresenta un livellamento, quantunque storicamente e culturalmente necessario: è un'estensione dell'idea di grecità, ma è anche una riduzione della sua specificità. In effetti, a questo fenomeno è connesso uno schema d'opposizione, che trova l'altro polo nella poesia. Nell'uso della koiné la prosa - fatta la debita eccezione per alcuni fatti di alta caratura letteraria, che comunque tendono a intensificarsi nell'età imperiale - rivela la propria inclinazione verso le movenze libere e dirette del parlato. Di contro, la poesia accentua il suo carattere di letteratura 'artistica', ossia fondata su un calcolo altamente selettivo dei mezzi d'espressione. Essa mira a differenziarsi in maniera drastica rispetto al linguaggio dell'uso, e ottiene questo risultato attraverso una ricercatissima elaborazione formale. Attraverso tali procedimenti si configura una lingua che è appunto poetica, in quanto si distanzia dalla consuetudine per accentuare i suoi caratteri d'irripetibile unicità.
Nasce così una poesia che non si rivolge più ad un pubblico collettivo e indiscriminato, bensì ad una cerchia d'intenditori, si direbbe di iniziati, in grado di apprezzarne le inconsuete raffinatezze. La particolarità della destinazione si ripercuote sia sul tessuto linguistico, sia sulle scelte tematiche. Queste in particolare hanno per un verso un carattere accentuatamente conservatore, in quanto il patrimonio della tradizione vi occupa un ruolo di preminenza, verosimilmente come salvaguardia del modello culturale ellenico di fronte alla concorrenza di altre componenti etniche. Ma per un altro verso gli argomenti della poesia ellenistica rientrano in settori appartati, per non dire esoterici, di tale tradizione: è ancora un indirizzo che predilige ciò che è raro, ricercato, inedito, facendo di tali requisiti il criterio che isola la poesia dalla fruizione comune e ne accentua i caratteri di programmata artisticità.
Il senso di un'identità culturale che pretende di essere difesa e proseguita si manifesta d'altronde nella cura dedicata alla raccolta, alla conservazione e all'esegesi critica delle opere letterarie del passato, e in genere alla memoria delle sue testimonianze. Sono i sovrani dei grandi regni ellenistici a impegnare vaste risorse di denaro e di intelligenze in quest'attività, che è un fattore di prestigio e di egemonia per l'elemento greco dei loro compositi domini; e appunto a un'origine greca si richiamano le loro dinastie. Ma l'erudizione oltrepassa i limiti delle proprie pertinenze e finalità per diventare una componente essenziale della creazione poetica, in quanto rivendicazione di una continuità che, non potendo riprendere le motivazioni ideali dei modelli, a questi almeno si collega attraverso un gioco sapiente di allusioni e di citazioni.
Questa tendenza suscita a sua volta un'opposizione. Se una certa tematica è caratterizzata da una dimensione libresca e colta, astratta dalla concretezza dell'esistenza, esiste di contro un settore della letteratura ellenistica che ricerca il proprio argomento nella realtà del quotidiano e dei comuni sentimenti, e si volge con attenta simpatia all'esperienza degli uomini qualsiasi e alla vita della natura. Nasce così una poetica del dettaglio, dell'episodio, di ciò che è minuscolo, delicato, ingenuo. Ma ciò avviene pur sempre attraverso il filtro di un atteggiamento intellettualistico, che prende le distanze dall'oggetto grazie a una strenua stilizzazione formale, non di rado assumendo un tono ironico nei confronti della materia e della stessa realizzazione poetica.
Si tratta in sostanza di aspetti diversi, a volte addirittura contrastanti, di un'attitudine comune, che si esprime lungo le linee fondamentali di una ricerca attentissima e laboriosa della perfezione formale, e di una funzione privata del fatto letterario, sia per quanto riguarda il poeta, sia nei confronti del pubblico.
È Callimaco l'autore che manifesta con maggiore consapevolezza e coerenza la propria adesione a questi indirizzi. Egli afferma che la sua poesia non si rivolge alla folla, ma percorre una via del tutto particolare, anche se stretta e poco frequentata; che essa tende alla purezza dell'acqua di fonte, aborrendo la limacciosità del grande fiume; e che non è affar suo il tuono rimbombante del poema epico di stampo tradizionale, bensì il canto leggero e perfetto che può trovare luogo solo nella narrazione di episodi circoscritti.


Il bersaglio della sua polemica sembra essere l'epos totale in forma di narrazione continuata, che Apollonio Rodio aveva riproposto con le Argonautiche: anche se non è certo che il "grande libro" che egli afferma di odiare vada identificato con quest'opera, o con questa maniera.
Esisteva in effetti un fronte opposto della controversia, che Callimaco adombra sotto il nome collettivo di "Telchini", leggendari demoni maligni. Questi avversari rimproveravano a Callimaco la sua incapacità di cimentarsi nella celebrazione di grandi gesta; ed egli respinge tale accusa, professando che la sua scelta deriva da una precisa convinzione artistica. Una notizia antica tramanda i nomi di alcuni tra i personaggi reali nascosti sotto l'allegoria; ma in questi non compare Apollonio Rodio, mentre sono annoverati gli epigrammisti Posidippo e Asclepiade. Il dato riesce del tutto sorprendente, visto che il genere stesso dell'epigramma, per la sua concettosa e raffinata brevità, parrebbe adattarsi in modo esemplare ai postulati della poetica callimachea. Del paradosso si sono tentate diverse spiegazioni: l'unica certezza è che i due ammiravano la Lide di Antimaco di Colofone, che a Callimaco sembrava rozza e pesante. Resta comunque il fatto che queste polemiche attestano un ragionamento maturo sulla natura e sulle caratteristiche dell'opera letteraria, considerata nell'autonoma misura dei propri caratteri espressivi.

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