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La filosofia dell'età ellenistica - Epicuro e l'Epicureismo

La prima delle grandi scuole filosofiche sorte in età ellenistica ad Atene fu fondata da Epicuro nel 306 a.C. e prese il nome di «Giardino» dal luogo in cui solevano riunirsi i suoi frequentatori, un edificio immerso nel verde alla periferia della città: la scelta di questo sito campestre lontano dal centro urbano, dove invece sorgevano l'Accademia e il Liceo, è già di per sé significativa di una concezione umbratile e appartata dell'esistenza, quella stessa che è compendiata dal famoso precetto epicureo λάθε βιῶσας («vivi nascosto»). Nella scuola erano ammesse anche le donne - fatto 'scandaloso' per la mentalità greca - e lo stesso Epicuro in una lettera (fr. 143 Usener) si rivolge con affettuosa confidenza ad una di esse, Leontio.

La nostra principale fonte di conoscenza per la biografia di Epicuro è rappresentata dal libro X delle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio, a lui interamente dedicato. Da esso apprendiamo che Epicuro nacque nel 341 a Samo, da genitori (il padre era Neocle) di nobile famiglia che da Atene si erano trasferiti nell'isola come coloni, conservando dunque la cittadinanza ateniese. Egli cominciò a interessarsi di filosofia appena quattordicenne, frequentando in patria le lezioni del platonico Panfilo e quelle (la fonte è Cicerone, De nat. deor. I, 26, 72) dell'allora scolarca dell'Accademia Senocrate ad Atene, dove si era recato a diciotto anni per il servizio dell'efebia (qualcosa di simile al nostro servizio militare), nel quale fu compagno di Menandro. Ma decisivo per la sua formazione fu l'incontro con il filosofo atomista Nausicrate a Teo, dal quale venne introdotto alle teorie di Democrito.

Ben poco ci rimane della vastissima produzione di Epicuro, che secondo le fonti antiche scrisse circa trecento libri, e l'immagine del pensatore, spesso perversamente fraintesa, rimase affidata a riferimenti di seconda mano, in genere condizionati da una scoperta partigianeria oppure da un'altrettanto dichiarata ripulsa.

Nonostante la perdita di quasi tutta l'opera di Epicuro, la sua dottrina ci è nota dagli scritti di altri autori greci e latini come Lucrezio, Cicerone, Seneca, Plutarco, Sesto Empirico, presso i quali essa suscitò un acceso dibattito.

La filosofia di Epicuro dischiuse agli uomini del suo tempo la certezza di un bene indipendente da fattori esterni e precari, offrendo una risposta alle esigenze di una società rimasta senza fedi.

Il carattere dogmatico dell'insegnamento di Epicuro e la venerazione quasi religiosa da cui la sua figura venne circondata dopo la morte, evitarono al Giardino quelle profonde trasformazioni e divisioni conosciute già prima dall'Accademia e dal Peripato, e poi anche dalla Stoa: nessuno dei discepoli ebbe la levatura del maestro e ciascuno di essi si limitò ad approfondire certi aspetti particolari del pensiero di quello, quasi mai con apporti originali; non fece eccezione, in ambito latino, neppure Lucrezio, la cui grandezza è semmai da cercarsi nelle eccezionali doti artistiche, che gli permisero di trasfigurare poeticamente la dottrina del filosofo greco.

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