Tra i poeti alessandrini, Teocrito è certo il più accessibile al lettore d'oggi, che l'intellettualismo e l'erudizione di Callimaco e di Apollonio Rodio possono sconcertare; ma, probabilmente, è anche in assoluto il più grande. Egli è l'erede della tendenza ellenica a fondere indissolubilmente immaginazione e realtà; e ha saputo rinnovare i moduli formali della tradizione con uno stile che conosce i toni della grazia quanto della malinconia, dell'umorismo quanto della mestizia, e contiene in sé la verità del concreto e la libertà della fantasia. Al tempo stesso questo stile è intimamente ellenistico per la sua calcolata ed elegante mistificazione, che dissimula sotto l'ostentata ingenuità un ampio retroterra di cultura e una padronanza assoluta degli strumenti espressivi.
La musa teocritea non è, come si è visto dalla varietà dei componimenti contenuti nel corpus, soltanto quella rustica e pastoralis di cui parla Quintiliano nel suo celebre giudizio sul poeta di Siracusa (X, 1, 55), ma è soprattutto per essa che egli divenne famoso e fu considerato l'iniziatore di un genere - quello bucolico appunto - che tanta parte ha nella storia della cultura europea.
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