I toni 'borghesi' e perfino umoristici con cui le divinità sono talvolta descritte (il riso degli dei e sugli dei) trovano anche qualche precedente nell'epos omerico (si pensi al poco edificante triangolo Efesto/Afrodite/Ares in Od. VIII, 266 ss. e al «riso inestinguibile» che lo stesso Efesto suscita negli altri Olimpii in Il. I, 599 ss.), ma attingono qui maggiormente a quella vena 'giocosa' in cui B. Snell ha giustamente visto l'essenza dell'arte callimachea. Non avrebbe molto senso porre il problema del 'divino' in Callimaco in termini di religiosità o areligiosità: il poeta 'crede' nei suoi dei come poteva credervi un greco colto del III secolo a.C. e come un poeta per cui il mito è il fondamento stesso della propria arte.
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