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Il grido delle donne contro la guerra nel teatro di Euripide (Ecuba, Troiane)

Al periodo che va dal 430 al 415 è da ascrivere un gruppo di tragedie costituito da Eraclidi, Ecuba, Supplici, Troiane. Sono quasi tutte di incerta datazione e accomunate dal tema della guerra con le sue tragiche conseguenze.
Il più antico di questi drammi sembra essere gli Eraclidi, databile al 430 ca. Esso è anche il più breve di tutta la produzione euripidea (1055 vss. ca.) e la cosa ha fatto nascere in Wilamowitz il sospetto che quella pervenutaci sia la versione ridotta di un altro lavoro più esteso. L'argomento è ripreso dalle Supplici, anch'esse caratterizzate dalla tematica della guerra e di incerta datazione. La composizione dell'Ecuba, il primo dei drammi euripidei pervenutici che hanno per argomento la saga troiana, risalirebbe, invece, alla conclusione della fase archidamica della Grande Guerra (431-421). Nel 415, insieme ai perduti Alessandro, Palamede e al dramma satiresco Sisifo, furono rappresentate le Troiane. L'argomento è lo stesso dell'Ecuba, ma esteso al destino delle altre prigioniere iliache dopo la conquista della loro città, e uguali sono la scena e il coro. Questa è l'unica tragedia euripidea che conti solo tre episodi.

Argomento dell'Ecuba
 
Nel campo greco, dinanzi a Troia appena conquistata, appare lo spettro di Polidoro, il più giovane dei figli di Priamo ed Ecuba: egli racconta di essere stato ucciso da Polimestore, re di Tracia, cui era stato affidato dai genitori, e aggiunge che il fantasma di Achille ha chiesto il sacrificio di Polissena per consentire la partenza dell'armata. Dopo lo spettro è la volta di Ecuba, cui un angosciante sogno ha ispirato tristi presentimenti su Polissena e Polidoro; quelli sulla figlia trovano immediata conferma nelle parole del Coro, composto da prigioniere troiane, che le comunica la richiesta di una vittima avanzata dallo spettro di Achille. Giunge Odisseo per condurre la fanciulla al sacrificio. Invano Ecuba tenta di persuadere il figlio di Laerte a risparmiare la sua giovanissima figlia. È Polissena stessa ad interrompere la supplica: per lei, principessa di sangue reale, la morte è certo preferibile al destino di schiava che l'attende. Confortata la madre, la fanciulla si avvia al sacrificio, che affronta con tale serenità e coraggio da mettere a disagio il suo carnefice, Neottolemo. L'araldo Taltibio fa appena in tempo a raccontare di questa coraggiosa morte, che un'altre sciagura si abbatte sull'infelice Ecuba: una delle schiave si è trovata dinanzi, sulla spiaggia, il cadavere di Polidoro, ucciso, come intuisce immediatamente Ecuba, per brama d'oro d colui al quale lei e Priamo avevano concesso tutta la loro fiducia. La rabbia della regina si scatena: ottenuto da Agamennone il permesso di potersi vendicare, riesce ad attirare Polimestore disarmato nella sua tenda, e con l'aiuto delle altre prigioniere lo acceca e ne uccide i due piccoli figli. Invano il re tracio chiede vendetta ad Agamennone: in un sommario giudizio, l'Atride decide di dar ragione ad Ecuba, e a Polimestore non rimane altro che sfogare la sua rabbia predicendo all'ex regina la sua metamorfosi in cagna, e all'Atride la morte che lo attende, insieme con Cassandra, ad opera di Clitemestra.

Guerra, schiavitù e vendetta
 
Sono questi i temi del dramma, in apparenza semplice e lineare. La furia vendicatrice aveva trovato in Medea facile esca grazie al carattere del personaggio. Adesso, nel personaggio così poco appariscente di Ecuba, quasi del tutto ignorato dall'Iliade, riesce ad esplodere con gli stessi effetti devastanti quando la misura dei mali è colma. Fino alla morte di Polissena, Ecuba sembra in condizione di assorbire i colpi, aiutata dall'atteggiamento della figlia, che le dimostra come per lei un destino di morte sia preferibile a quello di schiava. Euripide inserisce qui una dissertazione pedagogica sull'importanza del momento educativo nella formazione del cittadino (346ss.).
 
ΠΟΛΥΞΕΝΗ
ὡς ἕψομαί γε τοῦ τ'ἀναγκαίου χάριν
θανεῖν τε χρ
 
L'impotenza che deriva dalla nuova condizione servile non lascia alla regina altra possibilità se non le inutili preghiere (154ss.)

ΕΚΑΒΗ 
Οἲ 'γὼ μελέα, τί ποτ'ἀπύσω;

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