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Diffusione del latifondo aristocratico

Per latifondo (dal latino latus, "ampio", e fundus, "podere") si intende una proprietà agricola di grande estensione, caratterizzata da basso rendimento, se rapportato alle reali potenzialità, e da rapporti socio-economici ben precisi tra proprietario e lavoratori. Questa tipologia di proprietà nacque a Roma nel II a.C. con il sistema delle villae. Questo accadde perché l'aristocrazia aveva visto aumentare le proprietà terriere grazie alle guerre, a discapito dei piccoli proprietari. Le vittorie conseguite, tra l'altro, avevano messo a disposizione un gran numero di prigionieri, che venivano impiegati come schiavi proprio negli appezzamenti, consentendo cosi di coltivare i terreni a costi estremamente bassi. Si vennero così a costituire i latifondi e le enormi aziende agricole. I proprietari terrieri, generalmente aristocratici e quindi impegnati politicamente, tendevano a rinunciare sempre più spesso ad occuparsi delle proprietà, preferendo trasferirsi dalle campagne a Roma, centro del potere. L'accumulo di grandi capitali non generò, così, un reimpiego produttivo delle risorse, che venivano invece utilizzate per le spese cittadine, che miravano a sottolineare il prestigio sociale piuttosto che produrre ulteriore ricchezza. 
All'interno dei latifondi, l'agricolture era organizzata secondo il sistema della villa, cioè della fattoria, finalizzata alla produzione su vasta scala di prodotti alimentare, mentre in precedenza ci si limitava alla produzione per il solo consumo domestico. Essendo una produzione destinata alla vendita e al commercio, si concentrò principalmente su prodotti maggiormente redditizi, quali l'olio e il vino (che venivano venduti anche in Oriente dove i vini italiani erano particolarmente apprezzati), a discapito della coltivazione intensiva del grano.
Particolarmente incrementati anche gli allevamenti di bestiame, lasciati allo stato di semilibertà o selvatico.
Le villae erano affidate ai villici, di condizione servile, che dimoravano nelle campagne e dirigevano il lavoro dei braccianti e degli schiavi e ne rendevano poi conto ai loro proprietari.
Gli schiavi, dunque, non ricevevano tutti lo stesso trattamento, ma alcuni venivano rinchiusi, al termine del loro lavoro nei campi, per assicurarsi che non fuggissero, mentre altri godevano di un regime di semilibertà.

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