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Letteratura italiana - Programma completo affrontato per nodi concettuali


Nodo concettuale: NATURA

UGO FOSCOLO (1778-1827)

Nella sua concezione meccanicistica, Foscolo vede la natura come un aggregarsi e un disgregarsi di materia, per dare luogo, rispettivamente, alla vita e alla morte. In questa continua trasformazione è coinvolto anche l'uomo, il cui unico rifugio risulta essere il mondo delle illusioni.

Dei Sepolcri (1807)

L'opera si apre con versi dai caratteri cupi e notturni ("All'ombra de' cipressi", v. 1), cui si contrappongono quelli luminosi e solari degli ultimi versi ("finché il Sole / risplenderà", vv. 294-295). 


GIACOMO LEOPARDI

ALESSANDRO MANZONI (1785-1873)

GIOSUÈ CARDUCCI

Per il poeta, la natura e il suo paesaggio richiamano l’infanzia dell’uomo e il suo destino, mentre le stagioni ne rispecchiano i sentimenti.

GABRIELE D'ANNUNZIO

Il rapporto del poeta con la natura rientra nelle caratteristiche del panismo, inteso come compenetrazione dell'uomo nella natura.

COLLEGAMENTI MULTIDISCIPLINARI:

Nodo concettuale: SOGNO

UGO FOSCOLO

GIACOMO LEOPARDI

GIOSUÈ CARDUCCI

L’importanza della storia induce Carducci a sognare il ritorno ai grandi ideali dei classici greci, della Roma imperiale, del Medioevo, della Rivoluzione Francese.

GABRIELE D'ANNUNZIO

"Ama il tuo sogno se pur ti tormenta" è una frase di D'A. che vuole incitare a non abbandonare mai i propri sogni, per quanto questi possano essere causa di sofferenza.

COLLEGAMENTI MULTIDISCIPLINARI

Nodo concettuale: INTELLETTUALI E POTERE

UGO FOSCOLO

GIACOMO LEOPARDI

ALESSANDRO MANZONI

Il rapporto di Manzoni con il potere possiamo leggerlo nelle sue Odi Civili e Patriottiche, oltre che ne I Promessi Sposi.

Le Odi Civili e patriottiche sono Aprile 1814, Proclama di Rimini, Marzo 1821, Cinque maggio. Il potere temporale viene qui affiancato a quello religioso, come anche nei Promessi Sposi, dove ritroviamo figure, quali Don Rodrigo, che sfruttano la propria posizione per influire negativamente sui destini della gente più debole, o Fra' Cristoforo, che fa appello al potere della religione per difendere gli oppressi. 

GIOSUÈ CARDUCCI

Il rapporto di Carducci con la classe dirigente è di decisa critica, a causa della corruzione che egli individua al suo interno dopo l’unità d’Italia. Questo non gli impedisce di esaltare la Nazione, con grande impegno civico.

GABRIELE D'ANNUNZIO

Forse è lo scrittore che più di ogni altro si sia reso conto di come la letteratura possa influire direttamente sulla politica, tanto da avviare i processi di estetizzazione del politico e di politicizzazione dell'esteta. La sua stessa biografia è chiara testimonianza della sua attiva partecipazione alla vita politica: fu deputato, poeta-soldato durante la presa di Fiume, poeta del Regime.

COLLEGAMENTI MULTIDISCIPLINARI

Nodo concettuale: VIAGGIO

DANTE ALIGHIERI (1265 - 1321)

Il viaggio di Dante attraverso i regni oltremondani lo condurranno alla visione della verità, del divino. Si tratta di un romanzo di formazione, in cui il protagonista subisce un'evoluzione, non necessariamente positiva, attraverso una serie di esperienze vissute in prima persona.

GIOSUÈ CARDUCCI

I paesaggi di Carducci conducono il lettore attraverso un viaggio interiore, andando a simboleggiare, con i colori e le atmosfere descritte, le emozioni di ciascuno di noi.

GIOVANNI VERGA (1840 - 1922)

Il viaggio della Provvidenza può essere considerato la metafora di una vita rischiosa, che mira a spingersi troppo oltre le aspettative e le possibilità a lei concesse. Allo stesso modo, tutti i personaggi de I Malavoglia si avventurano spingendosi oltre il limite consentito, per far ritorno, alla fine del percorso, alle origini, seppur decisamente cambiati. Si può parlare, quindi, di romanzo di formazione, anche se il percorso evolutivo dei protagonisti non costituisce la tematica principale, individuabile nella veristica rappresentazione della difficile vita dei pescatori.

GABRIELE D'ANNUNZIO

In D'A. un viaggio viene intrapreso per trasformare l'uomo in un eroe, in quel Superuomo che prende le mosse dall'Oltre Uomo di Nietzsche. Ma l'impresa sarà destinata al fallimento, a causa dell'impossibilità dell'affermazione dei nuovi valori all'interno della società borghese.


Nodo concettuale: AMORE


DANTE ALIGHIERI 

GIOSUÈ CARDUCCI

L’amore del poeta si rivolge, nella sua produzione: ai grandi ideali della storia; al concetto di Nazione, supportato dalla poesia civile; alla Scienza portatrice di progresso, di contro al freno che a questo impone la religione; agli affetti familiari.

GABRIELE D'ANNUNZIO

Dalle poesie d'amore di D'A. emerge un concetto del sentimento come di un'estasi totalizzante, che unisce pur non legando in vincoli indissolubili. Le passioni del poeta non sono rivolte unicamente alle donne: ricordiamo il grande coinvolgimento che egli ebbe per le automobili e la velocità. 

Nodo concettuale: DONNA

DANTE ALIGHIERI

GIOSUÈ CARDUCCI

GABRIELE D’ANNUNZIO

Rappresenta il poeta che, nel panorama della letteratura italiana, maggiormente incarna la figura di "amante delle donne". D'Annunzio ne amò tante, anche se poche riuscirono ad avere una certa importanza nella sua vita. Tra queste, Eleonora Duse e Barbara Leoni. Nel 1926, D'A. decise di declinare la parola "automobile" al genere femminile, paragonandone alcune caratteristiche alle principali prerogative delle donne.



PCTO 2023/2024

Comunicazione verbale e non verbale nel mondo della pubblicità e della propaganda (politica, religiosa, culturale) e la sua evoluzione nel tempo


UGO FOSCOLO

(Zante, 6 febbraio 1778 - Thurnham Green, 10 settembre 1827)

Nato da Andrea e Diamantina Spatis, nel 1875 si trasferì a Spalato, dove frequentò il seminario arcivescovile. A partire dal 1789, a Bologna, F. lavorò a Le ultime lettere di Jacopo Ortis, fino a quando non si arruolò nella Guardia Nazionale.

Tra il 1789 e il 1803 raccolse parte della sua produzione poetica: dodici sonetti, tra cui Alla Musa, Alla Sera, In morte del fratello Giovanni, A Zacinto, e due odi, A Luigia Pallavicini caduta da cavallo e All'amica risanata. Nel 1807 pubblicò il carme Dei Sepolcri.

Tutta l'opera di F. è permeata di elementi neoclassici e romantici, che talvolta si fondono armoniosamente per scontrarsi nettamente altrettanto di frequente.

Dei Sepolcri (1807)

Composto tra l'estate e l'autunno del 1806, il carme è stato pubblicato per la prima volta nel 1807. È composto da 295 endecasillabi sciolti, dedicato ad Ippolito Pindemonte, e trae ispirazione dalle discussioni che avvenivano nei salotti letterari riguardo all'editto napoleonico di Saint Cloud, emanato nel 1804 ed esteso all'Italia nel 1806. Questo stabiliva che, per evitare discriminazioni tra i defunti, le tombe dovessero essere tutte uguali e senza iscrizione. Inoltre, era necessario, per questioni igieniche, che venissero poste al di fuori delle mura cittadine, in luoghi soleggiati e arieggiati.

1. All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne

Confortate di pianto è forse il sonno

Della morte men duro? Ove più il Sole

Per me alla terra non fecondi questa

Bella d’erbe famiglia e d’animali,

E quando vaghe di lusinghe innanzi

A me non danzeran l’ore future,

Nè da te, dolce amico, udrò più il verso

E la mesta armonia che lo governa,

Nè più nel cor mi parlerà lo spirto

Delle vergini Muse e dell’Amore,

Unico spirto a mia vita raminga,

Qual fia ristoro a’ dì perduti un sasso

Che distingua le mie dalle infinite

Ossa che in terra e in mar semina morte?

Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme,

Ultima Dea, fugge i sepolcri; e involve

Tutte cose l’obblio nella sua notte;

E una forza operosa le affatica

Di moto in moto; e l’uomo e le sue tombe

E l’estreme sembianze e le reliquie

Della terra e del ciel traveste il tempo.

Ma perché pria del tempo a sè il mortale

Invidierà l’illusion che spento

Pur lo sofferma al limitar di Dite?

Non vive ei forse anche sotterra, quando

Gli sarà muta l’armonia del giorno,

Se può destarla con soavi cure

Nella mente de’ suoi? Celeste è questa

Corrispondenza d’amorosi sensi,

Celeste dote è negli umani; e spesso

Per lei si vive con l’amico estinto

E l’estinto con noi, se pia la terra

Che lo raccolse infante e lo nutriva,

Nel suo grembo materno ultimo asilo

Porgendo, sacre le reliquie renda

Dall’insultar de’ nembi e dal profano

Piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,

E di fiori adorata arbore amica

Le ceneri di molli ombre consoli.

Sol chi non lascia eredità d’affetti

Poca gioia ha dell’urna; e se pur mira

Dopo l’esequie, errar vede il suo spirto

Fra ’l compianto de’ templi Acherontei,

O ricovrarsi sotto le grandi ale

Del perdono d’lddio: ma la sua polve

Lascia alle ortiche di deserta gleba

Ove nè donna innamorata preghi,

Nè passeggier solingo oda il sospiro

Che dal tumulo a noi manda Natura.

Pur nuova legge impone oggi i sepolcri

Fuor de’ guardi pietosi, e il nome a’ morti

Contende. E senza tomba giace il tuo

Sacerdote, o Talia, che a te cantando

Nel suo povero tetto educò un lauro

Con lungo amore, e t’appendea corone;

E tu gli ornavi del tuo riso i canti

Che il lombardo pungean Sardanapalo,

Cui solo è dolce il muggito de’ buoi

Che dagli antri abduani e dal Ticino

Lo fan d’ozi beato e di vivande.

O bella Musa, ove sei tu? Non sento

Spirar l’ambrosia, indizio del tuo nume,

Fra queste piante ov’io siedo e sospiro

Il mio tetto materno. E tu venivi

E sorridevi a lui sotto quel tiglio

Ch’or con dimesse frondi va fremendo

Perchè non copre, o Dea, l’urna del vecchio,

Cui già di calma era cortese e d’ombre.

Forse tu fra plebei tumuli guardi

Vagolando, ove dorma il sacro capo

Del tuo Parini? A lui non ombre pose

Tra le sue mura la città, lasciva

D’evirati cantori allettatrice,

Non pietra, non parola; e forse l’ossa

Col mozzo capo gl’insanguina il ladro

Che lasciò sul patibolo i delitti.

Senti raspar fra le macerie e i bronchi

La derelitta cagna ramingando

Su le fosse e famelica ululando;

E uscir del teschio, ove fuggìa la Luna,

L’ùpupa, e svolazzar su per le croci

Sparse per la funerea campagna,

E l’immonda accusar col luttuoso

Singulto i rai di che son pie le stelle

Alle obblîate sepolture. Indarno

Sul tuo poeta, o Dea, preghi rugiade

Dalla squallida notte. Ahi! sugli estinti

Non sorge fiore ove non sia d’umane

Lodi onorato e d’amoroso pianto:

Dal dì che nozze e tribunali ed are

Dier alle umane belve esser pietose

Di sè stesse e d’altrui, toglieano i vivi

All’etere maligno ed alle fere

I miserandi avanzi che Natura

Con veci eterne a’ sensi altri destina.

Testimonianza a’ fasti eran le tombe,

Ed are a’ figli; e uscìan quindi i responsi

De’ domestici Lari, e fu temuto

Su la polve degli avi il giuramento:

Religïon che con diversi riti

Le virtù patrie e la pietà congiunta

Tradussero per lungo ordine d’anni.

Non sempre i sassi sepolcrali a’ templi

Fean pavimento; nè agl’incensi avvolto

De’ cadaveri il lezzo i supplicanti

Contaminò; nè le città fur meste

D’effigïati scheletri: le madri

Balzan ne’ sonni esterrefatte, e tendono

Nude le braccia su l’amato capo

Del lor caro lattante, onde nol desti

Il gemer lungo di persona morta

Chiedente la venal prece agli eredi

Dal santuario. Ma cipressi e cedri

Di puri effluvi i zefiri impregnando

Perenne verde protendean su l’urne

Per memoria perenne; e prezïosi

Vasi accogliean le lagrime votive.

Rapìan gli amici una favilla al Sole

A illuminar la sotterranea notte,

Perchè gli occhi dell’uom cercan morendo

Il Sole; e tutti l’ultimo sospiro

Mandano i petti alla fuggente luce.

Le fontane versando acque lustrali

Amaranti educavano e viole

Su la funebre zolla; e chi sedea

A libar latte o a raccontar sue pene

Ai cari estinti, una fragranza intorno

Sentia qual d’aura de’ beati Elisi.

Pietosa insania che fa cari gli orti

De’ suburbani avelli alle britanne

Vergini, dove le conduce amore

Della perduta madre, ove clementi

Pregaro i Geni del ritorno al prode

Che tronca fe’ la trîonfata nave

Del maggior pino, e si scavò la bara.

Ma ove dorme il furor d’inclite gesta

E sien ministri al vivere civile

L’opulenza e il tremore, inutil pompa

E inaugurate immagini dell’Orco

Sorgon cippi e marmorei monumenti.

Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo,

Decoro e mente al bello Italo regno,

Nelle adulate reggie ha sepoltura

Già vivo, e i stemmi unica laude. A noi

Morte apparecchi riposato albergo,

Ove una volta la fortuna cessi

Dalle vendette, e l’amistà raccolga

Non di tesori eredità, ma caldi

Sensi e di liberal carme l’esempio.

A egregie cose il forte animo accendono

L’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella

E santa fanno al peregrin la terra

Che le ricetta. Io quando il monumento

Vidi ove posa il corpo di quel grande

Che, temprando lo scettro a’ regnatori,

Gli allor ne sfronda, ed alle genti svela

Di che lagrime grondi e di che sangue;

E l’arca di colui che nuovo Olimpo

Alzò in Roma a’ Celesti; e di chi vide

Sotto l’etereo padiglion rotarsi

Più Mondi, e il Sole irradiarli immoto,

Onde all’Anglo che tanta ala vi stese

Sgombrò primo le vie del firmamento:

Te beata, gridai, per le felici

Aure pregne di vita, e pe’ lavacri

Che da’ suoi gioghi a te versa Apennino!

Lieta dell’aer tuo veste la Luna

Di luce limpidissima i tuoi colli

Per vendemmia festanti, e le convalli

Popolate di case e d’oliveti

Mille di fiori al ciel mandano incensi:

E tu prima, Firenze, udivi il carme

Che allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco,

E tu i cari parenti e l’idïoma

Dèsti a quel dolce di Calliope labbro,

Che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma

D’un velo candidissimo adornando,

Rendea nel grembo a Venere Celeste;

Ma più beata che in un tempio accolte

Serbi l’Itale glorie, uniche forse

Da che le mal vietate Alpi e l’alterna

Onnipotenza delle umane sorti,

Armi e sostanze t’invadeano, ed are

E patria, e, tranne la memoria, tutto.

Che ove speme di gloria agli animosi

Intelletti rifulga ed all’Italia,

Quindi trarrem gli auspici. E a questi marmi

Venne spesso Vittorio ad ispirarsi,

Irato a’ patrii Numi; errava muto

Ove Arno è più deserto, i campi e il cielo

Desîoso mirando; e poi che nullo

Vivente aspetto gli molcea la cura,

Qui posava l’austero; e avea sul volto

Il pallor della morte e la speranza.

Con questi grandi abita eterno: e l’ossa

Fremono amor di patria. Ah sì! da quella

Religïosa pace un Nume parla:

E nutrìa contro a’ Persi in Maratona

Ove Atene sacrò tombe a’ suoi prodi,

La virtù greca e l’ira. Il navigante

Che veleggiò quel mar sotto l’Eubea,

Vedea per l’ampia oscurità scintille

Balenar d’elmi e di cozzanti brandi,

Fumar le pire igneo vapor, corrusche

D’armi ferree vedea larve guerriere

Cercar la pugna; e all’orror de’ notturni

Silenzi si spandea lungo ne’ campi

Di falangi un tumulto e un suon di tube

E un incalzar di cavalli accorrenti

Scalpitanti su gli elmi a’ moribondi,

E pianto, ed inni, e delle Parche il canto.

Felice te che il regno ampio de’ venti,

Ippolito, a’ tuoi verdi anni correvi!

E se il piloto ti drizzò l’antenna

Oltre l’isole Egée, d’antichi fatti

Certo udisti suonar dell’Ellesponto

I liti, e la marea mugghiar portando

Alle prode Retèe l’armi d’Achille

Sovra l’ossa d’Ajace: a’ generosi

Giusta di glorie dispensiera è morte:

Nè senno astuto, nè favor di regi

All’Itaco le spoglie ardue serbava,

Chè alla poppa raminga le ritolse

L’onda incitata dagl’inferni Dei.

E me che i tempi ed il desio d’onore

Fan per diversa gente ir fuggitivo,

Me ad evocar gli eroi chiamin le Muse

Del mortale pensiero animatrici.

Siedon custodi de’ sepolcri, e quando

Il tempo con sue fredde ale vi spazza

Fin le rovine, le Pimplèe fan lieti

Di lor canto i deserti, e l’armonia

Vince di mille secoli il silenzio.

Ed oggi nella Tròade inseminata

Eterno splende a’ peregrini un loco

Eterno per la Ninfa a cui fu sposo

Giove, ed a Giove diè Dàrdano figlio,

Onde fur Troja e Assàraco e i cinquanta

Talami e il regno della Giulia gente.

Però che quando Elettra udì la Parca

Che lei dalle vitali aure del giorno

Chiamava a’ cori dell’Eliso, a Giove

Mandò il voto supremo: E se diceva,

A te fur care le mie chiome e il viso

E le dolci vigilie, e non mi assente

Premio miglior la volontà de’ fati,

La morta amica almen guarda dal cielo

Onde d’Elettra tua resti la fama.

Così orando moriva. E ne gemea

L’Olimpio; e l’immortal capo accennando

Piovea dai crini ambrosia su la Ninfa

E fe’ sacro quel corpo e la sua tomba.

Ivi posò Erittonio: e dorme il giusto

Cenere d’Ilo; ivi l’Iliache donne

Sciogliean le chiome, indarno, ahi! deprecando

Da’ lor mariti l’imminente fato;

Ivi Cassandra, allor che il Nume in petto

Le fea parlar di Troja il dì mortale,

Venne; e all’ombre cantò carme amoroso,

E guidava i nepoti, e l’amoroso

Apprendeva lamento a’ giovinetti.

E dicea sospirando: Oh se mai d’Argo,

Ove al Tidide e di Laerte al figlio

Pascerete i cavalli, a voi permetta

Ritorno il cielo, invan la patria vostra

Cercherete! le mura, opra di Febo,

Sotto le lor reliquie fumeranno;

Ma i Penati di Troja avranno stanza

In queste tombe; chè de’ Numi è dono

Servar nelle miserie altero nome.

E voi palme e cipressi che le nuore

Piantan di Priamo, e crescerete ahi! presto

Di vedovili lagrime innaffiati.

Proteggete i miei padri: e chi la scure

Asterrà pio dalle devote frondi

Men si dorrà di consanguinei lutti

E santamente toccherà l’altare,

Proteggete i miei padri. Un dì vedrete

Mendico un cieco errar sotto le vostre

Antichissime ombre, e brancolando

Penetrar negli avelli, e abbracciar l’urne,

E interrogarle. Gemeranno gli antri

Secreti, e tutta narrerà la tomba

Ilio raso due volte e due risorto

Splendidamente su le mute vie

Per far più bello l’ultimo trofeo

Ai fatati Pelìdi. Il sacro vate,

Placando quelle afflitte alme col canto,

I prenci argivi eternerà per quante

Abbraccia terre il gran padre Oceàno.

E tu, onore di pianti, Ettore, avrai,

Ove fia santo e lagrimato il sangue

294. Per la patria versato, e finchè il Sole

295. Risplenderà su le sciagure umane.


ALESSANDRO MANZONI

(Milano, 1785 - Milano, 1873)

I Promessi Sposi

Ambientato durante la dominazione spagnola del '600, è un romanzo storico. Con questo genere si intende un racconto le cui vicende siano fortemente influenzate dal periodo e dagli eventi storici che fanno da sfondo all'intera trama.

GIOVANNI VERGA

(Vizzini, 2 settembre 1840 - Catania, 27 gennaio 1922)

Massimo esponente del Verismo italiano.

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